sabato 2 giugno 2012

Giovanni 6,27

«Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà» (Gv 6,27).
(http://www.focolare.org/it/news/2012/06/01/giugno-2012/)

La festa del Corpo del Signore corre un rischio; che Gesù oggi offertoci come pane, sia ammirato, contemplato, adorato per le strade e per le piazze, ma poi rimanga chiuso negli ostensori e nei tabernacoli.

Ma Gesù dice: prendete e mangiate! Come vivere allora concretamente il dono dell'Eucaristia?

Dobbiamo prendere e mangiare. Cioè trasformarci in Gesù, essere Lui. Vivere non per sé stessi, ma perché Gesù possa essere, vivere e agire tra i cristiani.

I cristiani poi, tra di loro, se vogliono essere totalitari, devono comportarsi come membri di un solo corpo. Ma non basta. Durante la giornata questa comunione deve farsi concreta nei rapporti sociali in una comunione spirituale, di azioni, di beni.

Questo per i cristiani. Ma per chi non comunica al sacramento del corpo di Cristo? Dobbiamo essere noi con il nostro corpo comunione per loro: amando diamo Gesù.

Anzi, lasciandoci "mangiare" dagli altri, ci facciamo eucaristia per loro. Lasciarsi mangiare vuoI dire essere persone che non impongono se stesse, ma si fanno uno con tutti, che soffrono con chi soffre, godono con chi gode, partecipano alla vita, ai problemi, alle lotte, alle gioie degli altri.
In una continua donazione di amore essi si fanno ponte tra Gesù e l'umanità che così sarà raggiunta dall'invito di Gesù: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo!".

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Un’Esperienza di Vita:

Sul lavoro una cosa che mi ha sempre amareggiato molto è vedere che, se c'era un rimprovero da fare, veniva fatto davanti a tutti; addirittura è successo che una collega era stata rimproverata nel reparto.

Ho sempre chiesto a Gesù che ci fosse il momento giusto per fare qualcosa riguardo a questo. Qualche tempo fa è stata fatta un'assemblea sindacale e alla fine del suo discorso la sindacalista ha chiesto se c'erano domande e problemi da esporre. Era il momento opportuno per intervenire. Così ho chiesto la parola e ho esposto il mio punto di vista, dicendo che avevo assistito a rimproveri fatti a colleghe in pubblico e con parole offensive e trovavo che non fosse giusto: se una collega lavorava male o aveva sbagliato, era dovere della responsabile farglielo notare, ma la cosa doveva avvenire tra loro.

Le mie parole hanno suscitato un mormorio generale di approvazione. Qualche giorno dopo la nostra rappresentante sindacale mi ha detto che il mio intervento era stato molto importante, sapeva che ne avevano parlato ai vertici e insieme constatavamo che da allora non avevamo più assistito a scene di quel genere. Una volta ha detto: "Parlo volentieri con te perché sei una persona umana e corretta. Un tempo ero anch'io come te, cercavo di aiutare tutti, poi ho visto che quando ho avuto io bisogno non si è mosso nessuno, così ora mi faccio solo i fatti miei". L'ascoltavo cercando di "farmi uno" e sentivo che sotto c'era tanta sofferenza. Le ho detto che la capivo perché anch'io nella vita avevo dovuto affrontare tante prove, ma di una cosa ero certa: voltare le spalle alle persone non era la soluzione giusta per stare meglio.

(Daniela, VR)