venerdì 2 settembre 2011

Luca 15,32

"Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15,32)
(http://www.focolare.org/it/news/2011/09/01/settembre-2011/)


La parabola del figlio prodigo è piuttosto quella del padre prodigo di immenso perdono, non sempre facile per noi che a volte diciamo: “Ti perdono, ma non dimentico”, per cui registriamo il tutto per rinfacciarlo più tardi all’occasione. Lo stile di Dio è esattamente l’opposto. Lui rispetta la scelta del figlio minore che ha deciso l’avventura in città dove sperpera tutto fino a trovarsi privo di cibo. In questa situazione si accorge che non si era allontanato soltanto da casa, ma anche da se stesso, poiché nel testo si legge: “Allora rientrò in se stesso”.

La tenerezza del padre si scontra con l’asserzione dei diritti vantati dal primogenito e non rispettati, secondo lui, dal genitore. Il figlio non scopre che l’amore del padre va oltre la giustizia umana e si perde nella misericordia. Il Vangelo ci lascia in questo dubbio. Forse è meglio così, perché, per amare come Dio, bisogna saper andare oltre la logica umana. Per farlo ci vuole quella carità divina, che può riempire il nostro cuore solo se si svuota di se stesso.

Tanti persone oggi non vogliono fare questo rischio, questo salto di fede, fiducia e amore nelle braccia di Dio Padre! Si fidano alle loro intelligenza e sapienza per giustificare il loro modo di vivere. Non vogliono fare il rischio di dovere cambiare vita e soffrire e perciò rimangano immaturi nella loro meschinità senza voler sapere di più!

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Un’Esperienza di Vita:

Ho due figli: uno di diciassette anni, l’altro sedici. Con il più grande non avevo più alcun rapporto. Domenica eravamo in campagna con degli amici; passa una macchina e manda in frantumi una bottiglia. Penso che qualcuno possa farsi male con quei cocci e sto per chinarmi a raccoglierli: sono un medico, sono cristiano! Il più grande dei miei figli mi prende in disparte: “non lo fare, è un lavoro da spazzino”. Il suo sarcasmo mi fa sentire una stretta al cuore: mi riprometto sempre di essere io il primo ad incominciare ad aprirmi, ma quando succede così mi cadono le braccia.

Siamo andati alla Messa vespertina e sulla porta della chiesa c’erano due mendicanti che conosco bene perché vengono in ambulatorio e, quando mi hanno visto, mi hanno fatto festa. Scorgo sull’altro lato della strada mio figlio che mi sta guardando, ma penso con chiarezza come mi devo comportare, mi faccio loro incontro e stringo loro la mano. Alzo di nuovo lo sguardo: mio figlio mi sorride e mi saluta con affetto. Aveva ascoltato il discorso vivo della mia coerenza e della mia accoglienza con le quali mi sforzo di avere un solo modello: Gesù.

Mario V. (Italia)